Lombalgia: un enigma per la sanità nel ventesimo secolo


Lombalgia: un enigma per la sanità nel ventesimo secolo
Waddel G. - Spine 1996: 21(24): 2820-5.

E' ora che anche i medici italiani si confrontino con il quesito che pervade tutto l'accorato articolo di Waddel, grande esperto del LBP, autorevolmente supportato dal lavoro di Deyo, altro grande esperto dell'argomento, pubblicato nello stesso numero di Spine: come mai, quando gli studi che dimostrano l'assurdità, non scevra di conseguenze dannose per gli individui e la comunità, del comportamento della medicina, ufficiale e non, nei confronti di questo diffusissimo problema hanno raggiunto da tempo il volume critico, si continua a prescrivere i soliti inutili e costosi esami, a comunicare al paziente le solite vaghe e spesso incomprensibili diagnosi, a praticare le solite inefficaci e costose terapie?
Non c'è dubbio che la realtà italiana penda più dal lato della situazione che Waddel descrive per gli Usa che di quella del Regno Unito: almeno di quella registrata dal National Health Service, che a quanto pare, comunque, soddisfa solo una percentuale ridotta degli utenti. E' alta anche in Italia la frequenza con cui vengono prescritti dal medico di base esami costosi, talora non innocui e raramente necessari, che producono referti troppo spesso inutilmente non rassicuranti; è di solito eccessivamente precoce l'invio allo specialista, quasi sempre ortopedico, il quale a sua volta richiederà gli esami non ancora richiesti dal medico di base; è abituale l'uso di una terminologia poco significativa, spesso poco chiara e talvolta preoccupante nella comunicazione al paziente, la cui vulnerabilità è stata ben sottolineata da Hadler in un articolo anch'esso tradotto dalla benemerita pubblicazione del GSS: spondilodiscoartrosi, disco degenerato, sublussazione vertebrale; è pressochè immediato l'invio a terapie fisiche, la cui inutilità è oramai ampiamente dimostrata e che saranno rinnovate poi sulla base di “dieci marconi due volte all'anno”, anche nei casi di completa remissione della sintomatologia “a scopo preventivo”; e forse, infine, si opera ancora troppo spesso. Il tutto con una spesa altissima per la comunità, e crescente in progressione esponenziale.
Tutto questo quando in tutto il mondo si è d'accordo su quanto asseriscono le linee guida pubblicate in Usa, nel Regno Unito, in Australia, nel Canada, in Svezia. Nelle lombalgie “non specifiche”, che costituiscono oltre l'80% delle forme che si presentano alla visita, quello che veramente serve è la rassicurazione psicologica del paziente, è la richiesta di un impegno ad una moderata attività fisica, sono i consigli sull'ergonomia e su un cambiamento dello stile di vita, che richiedono: una efficace opera di persuasione da parte del medico. Sono perfettamente d'accordo sulle conclusioni: è il medico di base che deve assumersi la presa in carico del paziente, offrirgli la necessaria comprensione e fare da filtro sia per la scelta degli esami che per l'invio allo specialista. Il che vuol dire offrire una soluzione corretta alla natura “biopsicosociale”, come dice Waddel, del problema LBP (e se tornassimo a chiamarlo mal di schiena?).
Ed ecco il nodo di ardua soluzione: i quindici minuti in media della visita ambulatoriale del medico di base (ammesso che in Italia questa media non sia ancora più bassa, come viene fatto di ritenere in base all'esperienza quotidiana) sono sufficienti per un'operazione così onerosa in termini di impegno personale? Ma d'altra parte possiamo continuare ad accettare e a ritenere dignitoso che venti minuti di ultrasuoni ad apparecchio spento o di ionoforesi a polarità invertite, come numerose ricerche attestano, siano più efficaci di una visita del proprio medico curante?

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