lunedì 27 febbraio 2012

Proposta di semplificazione del glossario riabilitativo


Nella prima chiacchierata di questa rubrica, ho ceduto a una mia vecchia ossessione: ho parlato male dell’eccessiva imprecisione e della spesso scorretta e acritica utilizzazione del vocabolario della medicina riabilitativa, che provoca sconcerto nei non addetti ai lavori e difficoltà topografiche nel reperimento delle strutture dedicate.
D’altra parte, ho sempre creduto che una critica fine a se stessa abbia poco valore, e in molti casi sia disdicevole, se non è accompagnata da proposte concrete di soluzione del problema.
Ho chiesto alla direzione del GSS che mi lasciasse avanzare qualche proposta di semplificazione e di chiarificazione del glossario riabilitativo: hanno risposto di sì.
Fisiatria
Etimologia
Φύσiσ – natura
Ιατρόσ – medico da ιάσθαι - sanare
Definizione dei vocabolari
Disciplina medica deputata al trattamento dell’apparato di locomozione e del sistema nervoso con mezzi fisici [vedi fisioterapia (Devoto Oli)].
E’ sicuramente un termine breve e comodo da utilizzare, purchè sia chiaro che è sinonimo di medicina riabilitativa. Lo stesso vale per il termine fisiatra, medico specialista in medicina riabilitativa.
Fisioterapia
Etimologia
Φύσισ– natura
Θεραπέια– servizio, cura da θέραπον - servo, scudiero (!!)
Definizione dei vocabolari
Ramo della medicina riabilitativa che si avvale di mezzi fisici, dell’attività fisica e del massaggio a fini terapeutici (Zingarelli) accompagnati da ginnastica e massaggio (Devoto Oli).
Non viene naturalmente specificato cosa si intenda per ‘mezzi fisici’. L’unica interpretazione ‘storica’ possibile è l’esclusione dei mezzi chimici, di sintesi o naturali (farmaci) e biologici (vaccini, sieri) che hanno fagocitato pian piano la pratica medica nell’800 e nel primo novecento.
E’ termine assolutamente inadeguato a identificare l’attuale medicina riabilitativa, in quanto è centrato sulla natura dei mezzi utilizzati e non sull’obiettivo per cui vengono utilizzati. Può essere riservato a quel gruppo di terapie molto diffuse, anche se solo in piccola parte validate, che si servono realmente della somministrazione diretta nel corpo umano di energie fisiche, in prevalenza elettriche (elettroterapia), elettromagnetiche (radar, marconi, laser), meccaniche (ultrasuoni, onde d’urto) (terapia fisica strumentale).
Cinesiterapia
Alla cinesiterapia deve essere riservato il significato di terapia del movimento con il movimento, secondo una classica definizione di Georgi. E’ pertanto uno degli strumenti, tra i più importanti, della rieducazione motoria. Da proscrivere, ovviamente, l’uso di cinesiologia, o peggio chinesiologia, come strumento terapeutico, e soprattutto dell’aborrito ma troppo spesso usato FKT.
Resta il problema se sia giusto inserire tra le terapie fisiche ‘strumentali’ la ionoforesi, la sonoforesi e l’aerosol, dove di fisico c’è soltanto il mezzo di somministrazione, non diversamente da quanto avviene per le iniezioni, sottocutanee o endovenose.
Fisioterapista
Etimologia (vedi Fisioterapia)
Definizione dei vocabolari
Tecnico che applica la fisioterapia (Devoto Oli).
Si presta ovviamente alle stesse critiche che valgono per Fisioterapia. Resta il fatto che è il termine utilizzato in buona parte del mondo (non in Francia, ad esempio), per l’egemonia in questo campo della versione anglossassone.
E’ interessante l’evoluzione del termine in Italia: kinesiterapista, poi (quando si è capito che il greco κ si trasforma nel c dolce italiano, vedi cinematografo, cinematica, e così via) cinesiterapista, poi fisioterapista, poi terapista della riabilitazione: termine che si voleva comprendesse tutte le varietà di operatori, comprendendo i terapisti occupazionali e i logoterapisti. E’ durato più di venti anni, per ricadere ufficialmente nel termine fisioterapista, tutto sommato il minore dei mali.
Quanto al terapista occupazionale, vorrei ribadire la mia antica avversione per il termine, di diretta discendenza psichiatrica, quando ‘l’occupazione’, un’attività lavorativa o ludica, era utilizzata come terapia per molti malati mentali rinchiusi nei manicomi o per far passare il tempo, tessendo su un piccolo telaio delle sciarpette che non avrebbero mai indossato, ai poveri bambini poliomielitici costretti in letto per mesi per una chirurgia del rachide, come avveniva a Garches, nei dintorni di Parigi, negli anni cinquanta.
Oggi il ‘terapista occupazionale’ (un aggettivo che secondo il Devoto Oli, è ‘in relazione con la manodopera’) fa ben altro: si occupa della rieducazione alla vita quotidiana, sa utilizzare e in parte costruire ortesi amovibili, si occupa dell’adattamento dell’ambiente di vita. Non sarebbe il caso di cambiare il nome alla terapia occupazionale? Apro l’asta per una proposta linguisticamente accettabile (ergoterapia è ancora più riduttivo).
Medicina fisica
Etimologia
Dal lat. mederi, medicare
Definizione dei vocabolari
Medicina: scienza che ha per oggetto lo studio delle malattie, la loro cura e prevenzione (Devoto Oli) ma anche professione del medico e insieme dei rimedi.
Le stesse obiezioni che per terapia fisica, di cui è stata, negli anni ‘40, l’evoluzione che rifletteva l’allargamento del campo di interesse dalla semplice terapia alla diagnosi e alla valutazione, con mezzi propri.
Riabilitazione
Etimologia
Da lat. re- restitutivo, habere, possedere
Definizione dei vocabolari
Reintegrazione di una persona, ritorno, restituzione a una normale attività, efficienza o altro (Zingarelli); ma anche ripresa della funzionalità di un arto (BUR).
Riferita al dominio sanitario, branca della medicina che comprende tutte le manovre terapeutiche che mirano alla prevenzione e alla riduzione degli esiti invalidanti delle malattie, con il fine di migliorare la qualità della vita in relazione della persona al suo ambiente, e si propone diagnosi, valutazione dell’handicap, trattamento precoce, adeguato e correlato con i farmaci (Encyclopédie MédicoChirurgicale, Elsevier).
Riabilitare: conforme al significato dell’inglese “to rehabilitate”, restituire un grado di efficienza e di funzionalità (Devoto Oli).
Seguendo le due successive linee guida dell’OMS, può essere vista come un intervento globale per prevenire o eliminare l’handicap (ICIDH), o per preservare o allargare l’area della partecipazione (ICF). Può pertanto essere suddivisa, senza limitazioni nette tra i due domini (la carrozzina rappresenta le gambe del paraplegico o un mezzo di trasporto?) in riabilitazione medica (lotta per prevenire, contenere o eliminare le disabilità), compito delle strutture e degli operatori sanitari, e riabilitazione sociale (lotta per la prevenzione e l’abbattimento delle barriere: è l’impatto delle disabilità con le barriere, frutto per lo più dell’organizzazione sociale, a creare l’handicap), compito dell’intera comunità.
Rimane purtroppo irrisolto il problema, anche in termini operativi, del triplice significato del termine riabilitazione nel ‘dominio sociosanitario’: l’obiettivo, il percorso, gli strumenti, che nella medicina tradizionale vengono felicemente sostituiti dai termini guarigione, cura, farmaci. Certamente non può essere una specialità medica, e a mio parere non può essere neanche una ‘scienza’ dato che trae le sue premesse da una lunga serie di nozioni ‘scientifiche’ di origine diversa, mediche in senso lato, umanistiche, e perché no filosofiche.
Centrale nell’uso del termine riabilitazione è comunque il fatto che si rivolge a una persona nel suo insieme, compreso il contesto personale e ambientale. Ancora una volta, si riabilita il sig. Rossi, non l’emiparesi del sig. Rossi. Non può pertanto essere intesa come di esclusiva spettanza medica, e non ammette, a mio parere, né prefissi né aggettivi che qualifichino i settori patologici di applicazione: riabilitazione neurologica (e tanto meno neuromotoria), ortopedica, cardiologica, respiratoria, vescicale, anche per la frequenza con la quale il sig. Rossi presenta contemporaneamente disabilità di origine neurologica, ortopedica, cardiologica, respiratoria, vescicale e magari cognitiva.
Rimane anche il problema dell’intervento su soggetti che non hanno, o non hanno ancora, acquisito, e quindi non possono aver perduto, delle abilità: il bambino con malformazioni o patologie perinatali. E’ stato proposto per qualche tempo il termine abilitazione, che però non ha avuto fortuna. Dato che obiettivi, operatori e strumenti sono gli stessi, credo che il termine riabilitazione possa essere senza difficoltà esteso alla prima infanzia.
Medicina fisica e riabilitazione
Nell’ultima definizione (MR del marzo 2004), “Physical Medicine and Rehabilitation è una specialità medica indipendente che è interessata in particolare alla promozione del ‘funzionamento’ fisico e cognitivo, delle attività (compresi i comportamenti), della partecipazione (compresa la qualità della vita) e con la modificazione dei fattori personali e ambientali. E’ pertanto responsabile della prevenzione, della diagnosi, della cura e del trattamento riabilitativo di persone con condizioni mediche disabilitanti e comorbidità in tutte le età. Gli specialisti in MFR hanno un approccio olistico alle persone con condizioni acute e croniche, tra la altre disordini muscoloscheletrici e neurologici, amputazioni, disfunzione di organi pelvici, insufficienza cardiorespiratoria, e disabilità dovute a dolore cronico e cancro. Gli specialisti in MFR lavorano in diverse strutture dalle unità acute di cura a istituzioni comunitarie. Usano tecniche di valutazione diagnostica specifiche e conducono trattamenti che includono interventi farmacologici, fisici, tecnici, educativi e vocazionali. Per la natura della loro formazione comprensiva sono nella posizione migliore per essere responsabili delle attività delle équipes multiprofessionali per raggiungere gli outcome migliori”.
Ovviamente è una definizione complicata e piuttosto contorta, in contrasto con quanto avviene per le discipline mediche specialistiche che sono definite semplicemente dalle patologie che trattano (neurologia, cardiologia, otorinolaringoiatria) e anche di quelle definite dall’età delle persone che prendono in cura (pediatria e geriatria). Per il suo carattere ‘al disopra delle patologie speciali’ e perchè definita dagli obiettivi, è più affine alla ‘medicina preventiva’.
Presa in sé, la definizione ufficiale invece per molti versi si attaglia a buona parte delle altre discipline mediche: un medico ‘non olistico’ non è un medico.
Restano le obiezioni valide per il termine Medicina fisica, e un certo stridore all’incongruità di riunire in un solo termine una disciplina con le sue premesse teoriche e le sue applicazioni, comunque la si voglia intendere, e un processo globale che va al di là degli aspetti medici.

Medicina riabilitativa
E’ l’insieme degli operatori, degli strumenti e delle tecniche dedicate in modo particolare alla riabilitazione medica, di cui è ‘il braccio operativo’. E’anche una disciplina, con le sue basi teoriche, i suoi insegnamenti e le sue deduzioni operative.
Anche questo termine indica ad un tempo gli obiettivi, il processo e i mezzi: causa non ultima di confusione. Sidney Licht, un pioniere, incerto se intitolare uno dei suoi primi libri Medical Rehabilitation o Rehabilitation Medicine, tagliò la testa al toro scegliendo Medicine and Rehabilitation. A mio (e ovviamente non solo mio) parere è comunque il termine più indicato anche per denominare i reparti e i servizi dedicati.
Recupero
Etimologia
Lat re- restitutivo, capio prendo: ripresa di qualcosa che si è perso, in parte o tutto reinserimento nella vita sociale per mezzo di un’opera di rieducazione (Devoto Oli).
Rieducazione
Il termine rieducazione può essere molto adatto, e in questo senso è ampiamente utilizzato dalla letteratura francofona, per quella parte importante dell’intervento riabilitativo che consiste nel trattamento dei segni e nella ricerca di compensi. In questo senso è molto più giustificato dell’abusato riabilitazione.
Credo si possa accettare una rieducazione neurologica, ortopedica, vescicosfinterica nel senso di trattamento con metodiche di medicina riabilitativa dei segni delle rispettive patologie. Mai, mi si conceda, una riabilitazione neurologica, ortopedica, cardiologica e così via per indicare quella parte della presa in carico riabilitativa che si occupa appunto del recupero di funzioni alterate o perdute. E’ a mio parere corretto anche parlare di una rieducazione motoria, funzionale (da distinguere da una rieducazione analitica) e una rieducazione intensiva.
Riabilitazione funzionale
Etimologia di funzionale
lat fungi, fungere
Definizione dei vocabolari
Relativo alle funzioni, che adempie alle funzioni per cui è stato costruito (Zingarelli).
Non ha senso: non si può immaginare una ‘riabilitazione’ che prescinda dal recupero delle funzioni.
Concludendo, ecco le mie proposte
Dare al termine riabilitazione il suo significato allargato e comprensivo, definito dagli obiettivi dell’intervento.
Lasciare solo una dignità ‘storica’ al termine medicina fisica e riabilitazione, e utilizzare il termine medicina riabilitativa per indicare la disciplina, la specialità medica, le strutture dedicate, gli strumenti che caratterizzano la presa in carico riabilitativa di pazienti di tutte le patologie.
Utilizzare rieducazione (eventualmente aggettivata) per il trattamento di danni e disabilità specifiche.
Conservare i termini fisiatria, fisiatra, fisioterapista per la loro diffusione e semplicità di uso.
Non aggiungere prefissi o aggettivi qualificativi al termine riabilitazione riferiti a singole specialità mediche e eliminare termini come riabilitazione funzionale, recupero funzionale.
Sarò molto grato a quanti dei lettori mi faranno arrivare osservazioni e critiche al sito del GSS (info@gss.it) o a www.szimbo@libero.it. Naturalmente, mi farebbe piacere che qualcuno fosse d’accordo. L’importante è per me che si arrivi a una semplificazione e unificazione dei termini: è possibile.
E… fate presto, per favore.

What’s in a name? Shakespeare, Romeo and Juliet

Fisiatria, fisiopatologia e riabilitazione cardiorespiratoria, fisioterapia, medicina fisica e riabilitativa, medicina fisica e riabilitazione, medicina riabilitativa, medicina riabilitativa e medicina manuale, neurologia riabilitativa, palestra, recupero e riabilitazione funzionale, recupero e rieducazione funzionale dei motulesi e dei neurolesi, recupero, rieducazione funzionale e fisioterapia, riabilitazione, riabilitazione e recupero funzionale, riabilitazione e rieducazione funzionale, riabilitazione e terapia fisica, riabilitazione e terapie palliative, riabilitazione funzionale, riabilitazione intensiva, riabilitazione ortopedica, riadattamento, rieducazione funzionale, rieducazione neuromotoria intensiva, terapia fisica, terapia fisica e riabilitazione, terapia fisica e rieducazione funzionale, terapia fisica e rieducazione motoria… Non sono le litanie della Santa Fisiatria: sono, in stretto ordine alfabetico, ventotto denominazioni differenti di servizi, reparti, centri ospedalieri nei quali lavoravano gli autori di altrettante comunicazioni presentate a un recente congresso della nostra società scientifica.

A quanto pare la confusione è grande sotto il nostro piccolo cielo. In un ospedale che ho visitato di recente, il visitatore veniva indirizzato (o meglio deviato) da una serie di indicazioni diverse, ciascuna con la sua relativa freccia: fisioterapia, terapia, medicina riabilitativa, recupero e rieducazione funzionale, fisiochinesiterapia e infine palestra.

Mentre il giovane amore di Giulietta le consentiva di amare Romeo indipendentemente da come si chiamasse, sono certo, per lunga esperienza, che la confusione terminologica non giovi a una migliore comprensione da parte del pubblico, ma anche e soprattutto dei medici e delle autorità accademiche, della nostra identità. Se cominciassimo a metterci d’accordo almeno sul significato da dare alla parola riabilitazione? Mi ha sorpreso piacevolmente, di recente, riscoprire il fatto che il termine ‘riabilitazione’ è stato introdotto nel ‘dominio sociosanitario’ nello stesso anno, il 1949, nel quale io, giovane assistente, entravo nell’Istituto di Terapia Fisica dell’Ospedale Maggiore a Milano, l’unico servizio autonomo esistente in Italia.

Allora, quella che oggi chiamiamo medicina riabilitativa si chiamava appunto Terapia Fisica. Era una terapia di serie B, si basava su una serie di applicazioni di energie fisiche, calore, radiazioni elettromagnetiche, onde meccaniche, con qualche, non dimostrata, efficacia nei confronti di una patologia talmente ricca da apparire improbabile (e certamente lo era: ricordo un’indicazione della marconiterapia nell’adenoma dell’ipofisi!). Negli ultimi tempi si erano aggiunti a carico della Terapia Fisica il massaggio e soprattutto la terapia con il movimento, la cinesiterapia, che presto è stata interpretata come terapia del movimento, e infine come terapia del movimento con il movimento. E infine, con l’aggiunta di una serie di tecniche valutative specifiche per la diagnosi e per la prognosi, la terapia fisica era diventata ‘medicina fisica’. E tale era ancora agli inizi degli anni 50: ad esempio nel titolo della rivista leader nel mondo, la statunitense Archives of Physical Medicine.

Ma a questo punto il passaggio successivo era obbligato. Le alterazioni del movimento rappresentavano e rappresentano ancora la maggior parte di una serie di esiti invalidanti di eventi morbosi acuti, con ripercussioni di diversa gravità su quella che poi si sarebbe chiamata ‘qualità della vita’ della persona colpita: in quegli anni del secondo dopoguerra, in particolare dalla poliomielite anteriore acuta e da lesioni midollari da eventi bellici.

Al termine ‘medicina fisica’ è stata aggiunta la parola riabilitazione, creando un ibrido che personalmente non ho mai gradito, ma che si perpetua ancora, ad esempio nella denominazione della nostra società scientifica, la SIMFER Ma la riabilitazione è scienza, disciplina, obiettivo, processo, strumento? Parte della confusione, all’origine delle difficoltà che la medicina riabilitativa incontra nel trovare la sua identità nasce dal fatto che mentre nella medicina tradizionale l’obiettivo è la guarigione, il processo è la cura e lo strumento sono le medicine, in medicina riabilitativa l’obiettivo è la riabilitazione, il processo è la riabilitazione, lo strumento è la riabilitazione. La riabilitazione di Giovanni Rossi, emiplegico, si ottiene riabilitandolo con la riabilitazione… Vediamo se possiamo mettere un po’ d’ordine. Quando studiavo medicina, e ancora oggi nei nostri trattati, esiste un ‘modello medico’ per l’approccio al paziente: il ‘quadro clinico’, visita e esami complementari, suggerisce al medico una patologia, che implica un’eziologia, una causa contro la quale agiranno i nostri trattamenti. L’esito è la guarigione o la morte: due diverse soluzioni allo stesso problema.

Alla riduzione continua del numero di pazienti che affluiscono agli ambulatori e agli ospedali con affezioni acute ha fatto riscontro il numero sempre crescente di pazienti che lamentano problemi, spesso generati da eventi acuti ma i cui effetti si prolungano nel tempo provocando difficoltà nella gestione della vita personale, familiare e sociale, in seguito all’aumento di incidenti del traffico, dello sport e del lavoro con un più alto numero di sopravvissuti, la sopravvivenza da malattie un tempo mortali, l’aumento drammatico della lunghezza della vita, con maggiori probabilità di incontrare eventi disabilitanti. Questo ha costretto l’OMS a istitutire un gruppo di lavoro, che alla fine degli anni 70 ha dato delle preziose indicazioni sul modo di affrontare questa situazione pubblicando l’ICIDH, la classificazione internazionale dei danni, delle disabilità e degli handicap, dove era disegnato l’iter che conduce dall’evento morboso all’handicap: dall’evento morboso nasce il danno, l’alterazione ‘del corpo’, che a sua volta genera disabilità, l’incapacità ‘della persona’ di svolgere attività che aveva acquisito (o che sarebbe stato in grado di acquisire). L’impatto tra la disabilità e gli ostacoli posti dall’ambiente architettonico, pisicologico ed economico genera l’handicap, che è la socializzazione della disabilità. Giovanni Rossi, affetto da accidente acuto da vasculopatia cerebrale, riporta una paralisi (danno) che gli impedisce di camminare (disabilità). Potrebbe ancora recarsi al bar a giocare a carte con gli amici se un ascensore troppo stretto, dei gradini in fondo alla scale, un marciapiede troppo alto non gli impedissero di recarvisi (handicap) in carrozzina.

Con questa precisazione, la differenza tra disabilità e handicap è determinante: handicappato non è un sostantivo e neanche un aggettivo, è solo un participio passato.

Obiettivo della riabilitazione è dunque prevenire o eliminare l’handicap. E quindi preservare o recuperare una migliore qualità della vita, secondo un’espressione di moda.

Se l’handicap è il risultato dell’impatto tra disabilità e barriere, in gran parte legate all’organizzazione sociale, si può intervenire sull’uno o sulle altre. La lotta per la prevenzione, l’eliminazione o almeno il contenimento della disabilità è compito della riabilitazione ‘medica’, quella per la prevenzione o l’eliminazione delle barriere è compito della riabilitazione ‘sociale’.

Medicina riabilitativa è il braccio armato della riabilitazione medica, un insieme di operatori, di tecniche, di strumenti dedicati.

Ha naturalmente un suo corpus di premesse teoriche, per cui è, anche, una disciplina.

Alla fine del secolo, il gruppo di lavoro ha fatto un altro passo, con l’elaborazione dell’ICF, l’International Classification of Functionment, rovesciando la medaglia, da negativo in positivo: si valutano le condizioni di salute, per ogni persona, valutandone struttura e funzione (l’alterazione è il danno), attività (la limitazione è la disabilità), la partecipazione (la limitazione è l’handicap). La classificazione vale per tutti: tutti abbiamo delle attività e un certo grado e tipo di partecipazione. Questo approccio supera la difficoltà di dover stabilire un limite netto tra normale e patologico. Il nuovo punto di vista riduce la differenza tra disabilità e handicap, enfatizzando il ruolo del contesto personale, e quello del contesto familiare,professionale, sociale.

Fine della riabilitazione è pertanto l’ampliamento massimo della partecipazione.

Conclusione: per una singola persona esiste una sola riabilitazione. Non si riabilita l’emiplegia di Giovanni Rossi, ma Giovanni Rossi, che oltre l’emiplegia può presentare i postumi di una frattura di femore, una broncopneumopatia, una cardiopatia, problemi vescicosfinterici, una situazione familiare disastrata… Pertanto il termine riabilitazione non ammette prefissi o suffissi e neppure aggettivi, se non tra virgolette.