L'indignazione di Immelmann


L'indignazione di Immelmann

Estratto da: Rothstein JM. Immelmann's Indignation. Physical Therapy, 1999: 79(11); 1024-25.

Eccomi qui, a badare ai miei affari, a lavorare tranquillamente nel mio ufficio, quando entra Immelmann. Immelmann è il mio amico immaginario. Mi ha fatto molte visite negli ultimi tempi. Potrebbe sembrare un poco bizzarro, ma non c'è un miglior riscontro della realtà che discutere le cose con amici immaginari, che non se ne vanno mai nel bel mezzo di una discussione. Immelmann vuole sempre discutere di questioni vitali per la fisioterapia, persino quando io non voglio. Ma quando parliamo, tutto quello che lui fa è brontolare: "Non è logico". 
Ora, prima che vi allarmiate di fronte alla prospettiva di un direttore che conversa con amici immaginari, tenete bene in mente che anche Hillary Clinton, secondo quanto si dice, ha cercato consiglio da Eleanor Roosevelt, e che Richard Nixon ha evidentemente avuto lunghe discussioni con i ritratti appesi alle pareti della Casa Bianca. 
Se non volete ascoltare il mio amico, potete smettere di leggere ora, ma se scegliete di proseguire la vostra lettura, dovete sapere che Immelmann dice quello che pensa e che può essere brutalmente onesto. 
Immelmann è ben informato circa lo stato della fisioterapia. È stato scioccato e rattristato quando ha sentito che in America ci curiamo così poco delle persone malate e disabili da tagliare le spese per il loro benessere con la scusa di bilanciare il budget. È stato ancora più scioccato quando ha saputo che gli HMO (Health Maintenance Organisation) sono presi in considerazione più per i loro profitti che per i loro servizi. Lui ricorda come il loro obiettivo originario fosse quello di tagliare i costi attraverso una prevenzione attiva e una promozione sanitaria, ed è costernato di scoprire questo attivismo rimpiazzato da un sistema che si concentra più sulla limitazione dei costi e non sulla espansione della cura sanitaria. L'idea di una cura gestita e di pagamenti futuri è sempre stata per lui interessante, fino a quando ha visto che quella che viene pomposamente chiamata "cura gestita" è in realtà una "gestione dei conti".
Il mio amico mi conforta con osservazioni come questa: "Voi terapisti siete bravi ragazzi, e fate ancora fantastiche cose. Ma io sento molto dire che la vostra categoria è avida. È una vergogna". Mi chiede che cosa potremmo fare per assicurare che i pazienti ricevano una cura di qualità e nello stesso tempo cosa fare per invertire la tendenza depressionaria nel mercato del lavoro. Senza perdere un secondo rispondo: "Dimostrare l'efficacia delle nostre cure". Spiego che se noi potessimo dimostrare senza ombra di dubbio i benefici dei nostri servizi in termini di qualità della cura, risultati e costi, la gente starebbe a sentire. Saremmo allora nella migliore posizione possibile per discutere dell'espansione dei nostri servizi e dell'eliminazione dell'arbitrio.
Immelmann inizia a esaminare accuratamente una pila di pubblicazioni sul tavolo vicino alla mia scrivania. Di tanto in tanto esclama "Wow!", "Fantastico!". "Beh? Cosa c'è di tanto fantastico?" gli chiedo.
Lui indica le inserzioni pubblicitarie per l'aggiornamento continuo. "Il problema è risolto!" dice allegramente. "Guarda tutte queste persone che tengono lezioni su ogni tipo di malattia e che credono nelle loro strategie per il trattamento dei pazienti. Questa gente avrà certamente delle prove; dopotutto, la maggior parte di essi tiene questo tipo di corso da anni e si fa pagare profumatamente".
"Ma quei corsi non sono basati sui dati", gli spiego. "Essi consistono quasi esclusivamente di persone che esprimono le loro opinioni circa il loro metodo di cura, dopo che hanno posto qualche fondamento alle loro convinzioni."
"Mi stai prendendo in giro, vero?" Gli assicuro di no.
"E allora cosa mi dici di questa APTA (American Physical Therapy Association), mi chiede. "Di sicuro quando presentano un corso, controllano se ci sono dei dati. Di sicuro controllano se chi parla ha delle prove, cercano che cosa ha pubblicato nei giornali "peer-reviewed" (n.d.r.: con processo di revisione alla pari)".
"Quasi mai", devo ammettere. 
In questo caso, durante i corsi affermeranno chiaramente che non ci sono prove, o no?" "No!" dico, sprofondandolo sempre più nella depressione.
"Fammi capire bene. Ognuno sembra essere d'accordo sul fatto che la vostra professione stia attraversando momenti difficili, e lo stesso vale per i vostri pazienti e per i vostri clienti. Molto dipende dal fatto che tanti vostri clienti si rifiutano di pagare servizi scadenti, ma anche che voi non siete in grado di fornire servizi di qualità necessari per i vostri pazienti. Nonostante questo, comunque, alcuni dei vostri colleghi vogliono insegnare a voi ulteriori trattamenti. Questo non è logico, e nemmeno etico o morale. I terapisti si lamentano perché non hanno né il tempo né il sostegno per i trattamenti esistenti, ma vanno ai corsi per imparare nuovi trattamenti, che potrebbero essere peggiori di quelli che già forniscono! L'apprendimento di nuovi trattamenti che non sono supportati dall'evidenza non ha senso."
"Ma allora, cosa sarebbe logico, etico e morale?" domando al mio amico.
"Privare la gente di una cura di qualità chiaramente non è etico. Di conseguenza, se voi credete veramente di poter aiutare la gente con nuovi metodi, la vostra responsabilità non finisce con la partecipazione ai corsi. Nel mondo di oggi, credere che qualcosa sia migliore per i pazienti è insufficiente. Dovete appendere qualcosa di più delle tecniche e della filosofia che vi insegnano nel "circuito commerciale" dell'educazione continua. Dovete dare prove ai pazienti, cosicché a questi ultimi possa essere permesso di utilizzare con le necessarie garanzie questi nuovi trattamenti apparentemente eccezionali. Un fallimento nel raccogliere le prove è lo stesso che tenere segreto un trattamento efficace o insabbiare la notizia della pericolosità di un trattamento. Coloro i quali credono di avere tecniche e strategie migliori, dovrebbero starsene a casa e raccogliere prove. Una volta che le avranno ottenute, allora potranno tenere dei corsi". 
Anche se molti di noi sono stati frustrati dai continui mercanti dell'apprendimento, Immelmann pensa che noi dovremmo andare un passo più avanti. Lui non usa praticamente dirlo, ma sembra volere che noi evitiamo le persone che non ritengono di loro responsabilità ricercare l'evidenza. Lui crede che la nostra attuale crisi mostrerà chi veramente tiene alla professione e ai nostri pazienti, e chi la pratica solo per i soldi o per ambizione.
Ma possiamo davvero aspettarci che i terapisti boicottino i corsi non basati sull'evidenza? Possiamo aspettarci che il comitato di programmazione dell'APTA inviti solo oratori che hanno adempiuto la loro responsabilità di valutare criticamente, attraverso la ricerca, le idee che portano avanti? Possiamo veramente aspettarci che i guru - gli auto promotori e gli esperti auto proclamati - ammettano a sé stessi che sia arrivato il momento di una moratoria riguardante la promozione di idee e trattamenti non verificati? Abbiamo il coraggio di dire ai promotori che, se si ama questa professione, si farà la cosa giusta raccogliendo prove prima di promuovere dei metodi? O li lasciamo continuare a promulgare i loro messaggi, fornendo così ulteriore argomenti a coloro i quali affermano che noi, come professione, non siamo degni di fiducia e che alla nostra professione manca una base credibile per le sue azioni e per i suoi interventi?
Immelmann presume un po' troppo. Questo è il guaio con gli amici immaginari. Lui presume un comportamento logico. Presume che coloro i quali guadagnano molto denaro con i loro corsi amino la nostra professione abbastanza da fare la cosa giusta. Lui promette, comunque, che il prossimo anno seguirà qualcuno di quei corsi e di quei convegni. Come farete a sapere se la persona seduta accanto a voi è il mio amico immaginario? Lo capirete perchè lui sarà l'unico che si alzerà in piedi e che chiederà "Avete qualche prova per questo trattamento? Come fate a sapere se funziona? E se non avete prove, perché siete qui?" 


Benedetto tre volte Immelmann! In poco spazio e con estrema chiarezza Rothstein, un terapista 'iperspecializzato' editor della più autorevole rivista per terapisti mondiale, mette in guardia i suoi colleghi contro i pregiudizi, le credenze e le condotte che rendono ancora oggi faticoso per la medicina riabilitativa conquistare lo spazio e la dignità che le competono.
La prevalenza degli aspetti economici su quelli di efficacia e efficienza, l'introduzione di tecniche non convalidate, il moltiplicarsi di corsi (spesso costosi) e conferenze intorno ad argomenti tutt'altro che seri, il maggior peso dato all'esperienza dell'operatore rispetto ai risultati di prove controllate, e soprattutto l'utilizzazione ostinata di tecniche la cui efficacia è stata chiaramente dimostrata nulla: Sterne ci ha insegnato che quando si afferma qualcosa di sbagliato, ci si attacca al proprio errore e qualsiasi cosa avvenga viene interpretata come una conferma della propria idea errata, tanto più quando l'idea rende in termini economici o di prestigio. In poche parole, la carenza di una medicina riabilitativa 'evidence based', secondo le regole della più recente - ed onesta - interpretazione degli obblighi della medicina in ogni settore: tutte cose che ci riguardano da vicino …
E' quanto da decenni oramai la parte migliore della medicina riabilitativa italiana, che per qualità e quantità non ha niente da invidiare a quella di nessun altro paese al mondo, va predicando: prima di tutto tra i suoi adepti, medici e terapisti.

1 commento:

  1. Caro Immelmann chi ti scrive è un tuo concittadino con una coscienza molto più confusa della tua. Non ho mai frequentato un corso sulle tecniche riabilitative e sono passati trent’anni. Mi hanno insospettito da subito: perché non sono integrati nei corsi universitari ? Quegli accenni scolastici e qualche lettura, ho la mania di attingere alle fonti, mi hanno fatto capire che il razionale della tecnica insegnata era troppo spesso un riferimento ad altre conoscenze o di conoscenze ricondotte ad un ipotesi. Ci si può innamorare di un idea? Si, quando diventa un pensiero fisso ossessivo che altera la percezione, perché noi percepiamo nella direzione in cui ci alleniamo; come l’atleta, un campione di tennis non sarà mai un campione di nuoto, l’allenamento è specifico. Ti è capitato di osservare con ammirazione le geniali soluzioni adottate da un collega e di ascoltare altrettanto stupito le sue motivazioni. C’è il saper fare;… e il sapere? Sempre incerto, sempre più complesso, sempre più legato ad un esperienza diffusa tra più esperti tanto che si è soliti affermare che in una riunione in una stanza la più preparata è la stanza stessa. Nella nostra città ideale non si va ai corsi, si tollera l’incerto, si rincorre il sapere. Nelle altre città si và ai corsi ed è vero che nessuno chiede le prove dell’oggetto di insegnamento e forse mai le chiederà. Perché chi và al corso ha necessità di certezze, le stesse richieste dall’assistito che non si vuol sentire dire che l’artrosi non è una malattia ma un piccolo regalo dell’età da gestire come i capelli bianchi. Il nostro assistito è educato a pensare che esiste una malattia e la sua cura, ovvero sempre una guarigione, e pensa che il medico che non la individua non è bravo o non ha guardato nella direzione giusta. I corsi erogano certezze che vengono erogate a persone che ne hanno bisogno quanto i terapeuti. Ripensando bene ho frequentato un corso forse più di venti anni fa. Conoscevo già la tecnica, l’avevo studiata, mi ero procurato gli attrezzi e sperimentata sui miei pazienti. Sono molto grato all’autore perché aveva citato le fonti con dovizia di particolari; hai notato che spesso viene spiegata la teoria ma non si citano le fonti, sarà gelosia o ignoranza? Ho passato i dieci anni successivi a leggere le fonti, si sono un po’ lento, me ne sono fatto una ragione e le ho utilizzate in una diversa direzione. E così, mi sono sentito dire “perché vuoi essere sempre ostentatamente originale? Credi veramente di aver capito tutto”. Quel giorno ho capito che ero talmente preso dalla mia idea da risultare incomprensibile. Ci vuole un vaccino sia dalle certezze sia dall’adesione acritica a qualsivoglia approccio. Sono necessari quanti più punti di vista differenti, e strumenti, e opinioni sull’uso degli strumenti e sulla lettura dei risultati; ma dove porta questa percorso così complesso? In un racconto “l’Uomo” chiede ad un potente “computer” intelligente il segreto dell’universo, o meglio come si possa rigenerarlo e rimediare al suo naturale degrado; la “macchina” non sa rispondere. La domanda è sempre più incalzante col passare dei secoli, e il “computer” raccoglie quante più informazioni possibili fino alla fine dei tempi, e allora le informazioni sono tutte raccolte, e la risposta è finalmente disponibile ma… non c’è più “l’Uomo” a cui consegnarla, d’altra parte erano disponibili le conoscenze per riavviare l’Universo e la sua storia. Caro Immelmann in questi 30 anni sono riuscito a studiare e capire poche cose e forse neanche bene, e molte mi sfuggono ancora e inoltre non posso raccogliere casistiche con centinaia di campioni per ogni idea e intuizione raccolta per strada allo scopo di fornire prove certe. Si mi farebbe proprio comodo un po’ della tua sicurezza, forse perché in questi tempi di repentini ed incerti cambiamenti mi sento in parte sopraffatto da eventi che considero ormai inarrestabili e che corrono verso per me incomprensibili semplificazioni.

    Zeno

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