sabato 14 gennaio 2012

IO LI HO CONOSCIUTI 2

Cominciamo, noblesse oblige, con un presidente della Repubblica dei primi anni 60, Antonio Segni, che sono stato chiamato a visitare a Roma perchè era stato colpito da un ictus da trombosi cerebrale, con danni motori e gravi problemi di linguaggio. Peccato, perchè mi sarebbe piaciuto chiedergli qualcosa di mio zio, Fernando Tambroni ( chiamato in famiglia ‘il gerundio’), che era stato coinvolto sotto la sua presidenza in un brutto affare, il caso SOLO e la prima partecipazione della destra fascista al governo. E’ venuto a Milano, alla Casa di Cura Sanatrix, una piccola clinica di poche camere nata per la nostalgia  per la riabilitazione di Felice Casari, che era stato il primo,  amato primario dell’Istituto di Terapia Fisica di Niguarda dal 48 al 53, caratterizzata, oltre che da un’ottima attività riabilitativa, dalla ancor migliore cucina curata dalla moglie parmigiana del proprietario. Ricordo il presidente alto, sottile, con il soprabito blu e la bella sciarpa di seta bianca, che si armonizzava bene con i bei capelli argentei. Un gran signore.

E una lunga sfilata di politici milanesi di tutte le sponde ben noti allora: Malvestiti, Masini, Marcora, Rivolta, Peruzzotti…la passione politica si scaricava per lo più sulla muscolatura della colonna.

Mio è padre era pianista, e in quegli anni difficili si dava da fare per la rinascita di una vita musicale milanese, organizzando con la Camerata Musicale preziosi concerti: per cui molti miei ricordi sono legati al mondo della musica. Nell’immediato dopoguerra, la rivelazione del Nuovo Quartetto Italiano. Quattro giovani, Borciani, Pegreffi, Farulli e Rossi, che di lì a poco dovevano incantare il mondo. Quattro folletti, come li ha battezzati Giulio Confalonieri, principe dei critici musicali e  grande giocatore di scopone scientifico al bar Giamaica, a Brera. Ricordo un’ affannata corsa in taxi per recuperare un archetto del violoncello a Rossi: il suo si era rotto al’ultimo minuto. E in serata un commovente  quartetto di Debussy nell’ospitale ma gelida casa di Giulia Maria Crespi in via Borgonuovo. I termosifoni in quel primo dopoguerra non  funzionavano:  gli invitati erano pregati di portare un ciocco di legno per il camino.

Poi, e prima di  tutti, Maria Callas, la voce di soprano più emozionante di tutti i tempi al servizio di una musicalità ineguagliabile, in quei tempi regina del teatro alla Scala. Era alle prese con un peso corporeo che giudicava eccessivo e che avrebbe, come si sa, combattuto con successo senza perdere, come tutti temevamo, l’incanto della sua voce. Veniva all’Istituto con il suo cagnolino, e ci intratteneva con tante e non sempre generose storie  sul suo mondo, e soprattutto sui suoi colleghi. E in particolare su Renata Tebaldi, ottima soprano e sua principale rivale.

Unito nel ricordo a Maria Callas,  Leonard Bernstein che l’ha diretta in una trionfale Medea di Cherubini,  la sua originalità interpretativa, la sua simpatia: una volta si è presentato a una prova scaligera vestito da gondoliere veneziano. Ricordo anche le sue bretelle color viola, che sfidavano il malocchio, e naturalmente il suo mal di schiena.

Il mio mestiere mi ha portato in casa Abbado, una casa dove si respirava musica. Sono stato accolto con grande signorilità da  Michelangelo, ottimo violinista e padre di Marcello, poi direttore del Conservatorio di musica di Milano dove mio padre ha insegnato nel primo dopoguerra, e di Claudio, al quale debbo tanti indimenticabili momenti di grande musica e, recentemente, il sogno di vedere scambiata la sua giusta mercede con  95.000 alberi da piantare  a Milano: davvero un sogno, temo, dati i tempi bui, ma non per questo meno affascinante.  In quell’occasione mi ha fatto dono di una sua  recente edizione della Cenerentola  di  Rossini.

Nel campo dello spettacolo  Milano era al centro della scena. Erano gli anni della rivelazione del piccolo Teatro, di Strehler e di Grassi, ma anche dei molti teatri  che non ci sono più. Ricordo la prima di ‘Questi Fantasmi’ di Eduardo al Mediolanum. Ero vicino di posto di un entusiasta Ruggero Ruggeri. E Anna Magnani, allora soubrette di Totò, con la quale ho attraversato, di notte, una piazza del Duomo deserta.

Sono state clienti dell’Istituto di Terapia Fisica di Niguarda, per dei danni muscoloscheletrici, tre belle e brave attrici: Agostina Belli, Giulia Lazzarini, Lucilla Morlacchi. era divertente  ascoltare da loro i retroscena di un mondo che mi ha sempre incantato.

E ho conosciuto professionalmente Paolo Stoppa, che si lamentava con la sua voce inconfondibile di un bruscolo nell’occhio. L’ho visto, in una bella vestaglia nella sua camera all’Hotel de Milan e, senza grande merito, guarito. E  negli anni seguenti Marcello Moretti e poi Ferruccio Soleri, ineguagliabili ambasciatori di italianità nel mondo con il loro Arlecchino servitore di due padroni. Mi piacerebbe poter pensare di avere una piccola parte di merito nella prodigiosa giovinezza di Ferruccio, che continua a recitare splendidamente una parte fisicamente molto ardua, nonostante i dolori alla schiena di cui mi ero occupato anche io. Gli attori sono fragili, e io ero chiamato a confortarli.

Dario Fo e Franca Rame li ricordo nella loro casa di piazzale Baracca, con i quadri di Dario alle pareti e i compagni più meno ammaccati di Soccorso Rosso su materassi stesi per terra: il Nobel era ancora lontano. E dopo, la vergognosa aggressione a Franca vissuta con grande forza e dignità, in un lungo faticoso recupero.

In un campo molto diverso, non posso dimenticare Giulio Natta, premio Nobel per la chimica nel 1963 per i suoi studi sui polimeri. Era affetto da una forma grave di morbo di Parkinson a inizio omolaterale controllato abbastanza bene da in intervento stereotassico, in gran voga in quegli anni. Il danno si è esteso all’altro lato, e un nuovo intervento non solo non ha migliorato la situazione, ma ha determinato un crollo grave di tutte le facoltà cognitive. Succedeva, dopo interventi bilaterali. Era terribile vedere una delle migliori intelligenze della prima metà del ‘900 ridotto a non farsi capire neanche dalle persone a lui più vicine.

Poi, i  nomi della grande borghesia milanese, non facilmente distinguibile dalla aristocrazia: ne ricordo soprattutto le belle case e i bellissimi quadri.

La duchessa Gallarati Scotti. La sua camera da letto nel mio ricordo è enorme, con un letto enorme, nel  quale la minuta duchessa mi riceveva, parlando nella sua splendida ‘lingua’ milanese. E aveva un fondo oro senese alle spalle.

Casa Belgioioso:  il principe mi intratteneva con il suo abito di campagna, naturalmente elegantissimo,  sull’andamento dei raccolti di quell’anno.

Grandi case e splendidi quadri: le scale di palazzo Bagatti Valsecchi impreziosite dai generali di Enrico Baj, che ammiravo mentre il padrone di casa mi parlava dei suoi dolori, tanto per cambiare alla schiena.

I Galtrucco di via Annunziata: ero entrato a casa loro perché la deliziosa piccola Giovanna era stata colpita dalla polio. Ce la siamo cavata bene, e Giovanna  è rimasta una delle mie migliori amiche. Approfittavo della intelligenza e della forza di carattere di mamma Galtrucco, per avere conoscenza diretta di tutte le proposte spesso strambe e ancor più spesso truffaldine che circolavano sul trattamento dei postumi di polio: mamma Galtrucco andava a verificare dal vivo e mi riferiva. E io avevo notizie dirette sull’inconsistenza della proposta, e potevo parlarne male e dissuadere con le prove i genitori degli altri piccoli sempre in attesa del miracolo. Mi ricordo quando ha portato Giovanna dal mago di Napoli, allora  celeberrimo, portando con sé il lenzuolo pulito sul quale Giovanna doveva essere trattata…

E giacchè siamo in via Annunziata, Alberto Pirelli, allora senza dubbio il più importante industriale di Milano. Della sua abitazione mi sono rimasti impressi il silenzio sepolcrale e i grandi vasi cinesi.

Il clan dei Falck: ricordi belli, come la disponibilità di mamma Cecilia e le grazie di Orietta. Erano tempi strani: molte giovanette della Milano bene avevano una scoliosi. Altri buffi. Alla morte del capofamiglia, la famiglia aveva regalato al Centro pilota di don Gnocchi due splendide palestre. All’ingresso c’era una testa in bronzo del benefattore. Erano i tempi della contestazione:  i giovani poliomielitici in carrozzina gareggiavano a chi faceva fare alla testa, che poggiava non  fissata su un perno, il maggior numero di giri colpendo il naso con una pallina di carta. E dopo l’omelia di monsignor Pisoni, presidente della Fondazione, che aveva invitato a dimostrare gratitudine ai benefattori, nell’intervento con  chitarra (allora era di moda) il più audace dei ragazzi usciva, a nome anche degli altri, in un : ‘Signore,  tieni lontano da noi tutti i benefattori’. E non aveva torto: ribadiva che tutto quanto serviva per una vera riabilitazione era un diritto del giovane disabile e doveva essere a carico della comunità, e quindi dello Stato. Non ho mai assistito a un ‘Ite missa est’ eseguito con maggiore celerità.

Per restare nello stesso ambiente, ricordo una   cena del Rotary a Monza, dove tra l’altro si era mangiato, come spesso accadeva, malissimo.  Avevo dovuto chiedere, controvoglia, ai facoltosi convitati un contributo per i bambini distrofici muscolari. Si cominciava allora ad occuparsene: non godevano della legislazione favorevole che interessava poliomielitici e spastici. Un autorevole membro affermava la scarsa importanza sociale del problema, i distrofici non potevano essere più di qualche centinaio. Lasciava qualche migliaio di vecchie lire, e si avviava all’uscita: inciampava sulla soglia e si faceva male. E’ tornato indietro a versare un altro po’ di denaro. L’ho sempre ricordato come un segno dell’esistenza di una superiore giustizia.

Era anche il tempo della guerra del Vietnam. Terre des Hommes, l’agenzia svizzera che si occupava dell’assistenza ai giovani vietnamiti del Sud travolti dall’ingiusta guerra: inviava al nostro centro, scelto tra i centri di tutto il mondo, i bambini affetti da lesioni motorie, in prevalenza poliomielitici. C’era qualche cerebropatico e un  paio di malformati congeniti. E’ stata un’esperienza entusiasmante. Anche i bambini di due-tre anni avevano un  comportamento di una serietà e di una educazione incredibili. Alla festa del Tet, quando l’ambasciatore di Saigon a  Roma veniva a festeggiare  l’inizio dell’anno con i bambini, un delizioso pranzo vietnamita (abbiamo saputo dopo, a Parigi, che la cucina vietnamita è una  delle migliori al mondo) veniva consumato tutti insieme, in un’atmosfera quasi religiosa. E tutti i giornalini comunisti cinesi e nordvietnamiti che arrivavano con gli studenti universitari che accompagnavano i bambini sparivano misteriosamente dalle camerate:  non  ho mai saputo dove finissero. Ho capito invece perchè i nordamericani non l’avrebbero mai spuntata in Vietnam quando ho visto Van Guyen, un  cosino di meno di dieci chili, nato prematuro e poi poliomielitico, non in grado di camminare,  aspettare Joseph, un bambinone camerunense con  spalle da campione dei mediomassimi che pesava quattro volte lui, sulla porta della camerata con un bicchiere pieno d’acqua in mano. Sapeva che Joseph indossava due tutori i cui montanti in ferro sporgevano dal tacco della scarpa  consumato dall’uso intenso. Mi ha detto: ‘sta a vedere, io butto l’acqua per terra, Joseph scivola e cade e io gli salto sopra’. E così’ è stato.

Ed erano anche gli anni della orrenda vicenda del Talidomide, il sedativo diffuso tra le donne in attesa di un figlio, che ha provocato un numero impressionante di  malformazioni dei feti. Ne avevamo diversi al don Gnocchi: un’altra lezione sulle  capacità di difesa dell’uomo anche in situazioni disperate. Ricordo una bambina africana di uno o due anni: amelica bilaterale completa, mancava anche delle scapole, le sue  piccole spalle rotonde ricoperte di seta nera. E  Rosangela, una bambina deliziosa di nove anni. Anche lei era amelica bilaterale,  mancava completamente dei due arti superiori, scapole comprese. Aveva imparato a fare tutto con le dita dei piedi, portava i cibi alla  bocca, cuciva, scriveva. L’avevamo dotata di una protesi meccanica in uso negli anni del dopoguerra: la sistemazione di due ‘dita cinesi’, ditali di paglia intrecciata che si gonfiavano, e quindi si accorciavano, quando veniva introdotto un gas; erano inserite su dei tiranti che muovevano  le dita meccaniche della protesi, ottenendone la flessione e quindi la presa. Rosangela  ne otteneva il riempimento e lo svuotamento schiacciando una valvoletta che comandava con il mento. Una delle sensazioni più tristi della mia vita, che pure non mi ha certamente risparmiato sensazioni dolorose,  la ho avvertita quando ho visto Rosangela  in piedi davanti alla lavagna:  stava scrivendo con un gesso quando l’anidride carbonica contenuta nella bomboletta si è esaurita. Le dita  si sono di colpo aperte, il polso è ruotato in supinazione. La mano artificiale è sembrata una mano vera, morta. Rosangela è scoppiata a piangere.
Mi rendo conto di non aver forse fatto una cosa corretta a inserire nei miei ricordi  i  nomi dei loro protagonisti, in tempi di ossessione per le intercettazioni telefoniche e di esasperazione della privacy ( a proposito, privasi o praivasi?). Ma  avevo molta voglia di rispolverare i miei ricordi,  oltre al fatto che delle persone nominate potevo solo parlare bene e che la maggior parte di loro non c’è  più. E a me non rimane che attendere serenamente che il mio testis dexter diventi rigidus et convulsus, sintomo che nostro padre Ippocrate (Aforismi,93) considerava letale.

2 commenti:

  1. Salve Silvano.
    Per caso Lei è abbonato al Corriere della Sera?
    Ieri ho trovato a Corsico una pila di quotidiani di molte altre persone, tra cui uno indirizzato ad una persona di Milano con il suo nome e cognome.
    Se è Lei, magari Le può interessare questo mio ritrovamento: il suo giornale di ieri è stato semplicemente buttato in strada.

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  2. Gentile Prof Boccardi,

    era un piacere ascoltarla e frequentare i suoi corsi d'aggiornamento, alla fine degli anni settanta,quando ero una giovane terapista e lei veniva qui a Parma,invitato dal dott. Adriano Ferrari.L'ho poi seguita in diversi corsi..poi l'ho un pò persa! Ora sono finita casualmente sul suo blog ed ho ritrovato lo stesso fascino e lo stesso piacere nel leggerla....Complimenti!!

    Grazie, perchè oltre all'arricchimento professionale, lei resta un bell'incontro e un bel ricordo!!!

    Ave

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