E una lunga sfilata di politici milanesi di tutte le sponde ben noti
allora: Malvestiti, Masini, Marcora, Rivolta, Peruzzotti…la passione politica
si scaricava per lo più sulla muscolatura della colonna.
Mio è padre era pianista, e in quegli anni difficili si dava da fare
per la rinascita di una vita musicale milanese, organizzando con la Camerata
Musicale preziosi concerti: per cui molti miei ricordi sono legati al mondo
della musica. Nell’immediato dopoguerra, la rivelazione del Nuovo Quartetto
Italiano. Quattro giovani, Borciani, Pegreffi, Farulli e Rossi, che di lì a
poco dovevano incantare il mondo. Quattro folletti, come li ha battezzati
Giulio Confalonieri, principe dei critici musicali e grande giocatore di scopone scientifico al
bar Giamaica, a Brera. Ricordo un’ affannata corsa in taxi per recuperare un
archetto del violoncello a Rossi: il suo si era rotto al’ultimo minuto. E in
serata un commovente quartetto di
Debussy nell’ospitale ma gelida casa di Giulia Maria Crespi in via Borgonuovo.
I termosifoni in quel primo dopoguerra non
funzionavano: gli invitati erano
pregati di portare un ciocco di legno per il camino.
Poi, e prima di tutti, Maria
Callas, la voce di soprano più emozionante di tutti i tempi al servizio di una
musicalità ineguagliabile, in quei tempi regina del teatro alla Scala. Era alle
prese con un peso corporeo che giudicava eccessivo e che avrebbe, come si sa,
combattuto con successo senza perdere, come tutti temevamo, l’incanto della sua
voce. Veniva all’Istituto con il suo cagnolino, e ci intratteneva con tante e
non sempre generose storie sul suo
mondo, e soprattutto sui suoi colleghi. E in particolare su Renata Tebaldi, ottima
soprano e sua principale rivale.
Unito nel ricordo a Maria Callas,
Leonard Bernstein che l’ha diretta in una trionfale Medea di Cherubini, la sua originalità interpretativa, la sua
simpatia: una volta si è presentato a una prova scaligera vestito da gondoliere
veneziano. Ricordo anche le sue bretelle color viola, che sfidavano il
malocchio, e naturalmente il suo mal di schiena.
Il mio mestiere mi ha portato in casa Abbado, una casa dove si
respirava musica. Sono stato accolto con grande signorilità da Michelangelo, ottimo violinista e padre di
Marcello, poi direttore del Conservatorio di musica di Milano dove mio padre ha
insegnato nel primo dopoguerra, e di Claudio, al quale debbo tanti
indimenticabili momenti di grande musica e, recentemente, il sogno di vedere
scambiata la sua giusta mercede con
95.000 alberi da piantare a
Milano: davvero un sogno, temo, dati i tempi bui, ma non per questo meno
affascinante. In quell’occasione mi ha
fatto dono di una sua recente edizione
della Cenerentola di Rossini.
Nel campo dello spettacolo
Milano era al centro della scena. Erano gli anni della rivelazione del
piccolo Teatro, di Strehler e di Grassi, ma anche dei molti teatri che non ci sono più. Ricordo la prima di ‘Questi
Fantasmi’ di Eduardo al Mediolanum. Ero vicino di posto di un entusiasta Ruggero
Ruggeri. E Anna Magnani, allora soubrette di Totò, con la quale ho
attraversato, di notte, una piazza del Duomo deserta.
Sono state clienti dell’Istituto di Terapia Fisica di Niguarda, per dei
danni muscoloscheletrici, tre belle e brave attrici: Agostina Belli, Giulia
Lazzarini, Lucilla Morlacchi. era
divertente ascoltare da loro i retroscena
di un mondo che mi ha sempre incantato.
E ho conosciuto professionalmente Paolo Stoppa, che si lamentava con la
sua voce inconfondibile di un bruscolo nell’occhio. L’ho visto, in una bella
vestaglia nella sua camera all’Hotel de Milan e, senza grande merito, guarito. E
negli anni seguenti Marcello Moretti e poi
Ferruccio Soleri, ineguagliabili ambasciatori di italianità nel mondo con il
loro Arlecchino servitore di due padroni. Mi piacerebbe poter pensare di avere
una piccola parte di merito nella prodigiosa giovinezza di Ferruccio, che
continua a recitare splendidamente una parte fisicamente molto ardua,
nonostante i dolori alla schiena di cui mi ero occupato anche io. Gli attori
sono fragili, e io ero chiamato a confortarli.
Dario Fo e Franca Rame li ricordo nella loro casa di piazzale Baracca,
con i quadri di Dario alle pareti e i compagni più meno ammaccati di Soccorso
Rosso su materassi stesi per terra: il Nobel era ancora lontano. E dopo, la
vergognosa aggressione a Franca vissuta con grande forza e dignità, in un lungo
faticoso recupero.
In un campo molto diverso, non posso dimenticare Giulio Natta, premio
Nobel per la chimica nel 1963 per i suoi studi sui polimeri. Era affetto da una
forma grave di morbo di Parkinson a inizio omolaterale controllato abbastanza
bene da in intervento stereotassico, in gran voga in quegli anni. Il danno si è
esteso all’altro lato, e un nuovo intervento non solo non ha migliorato la
situazione, ma ha determinato un crollo grave di tutte le facoltà cognitive.
Succedeva, dopo interventi bilaterali. Era terribile vedere una delle migliori
intelligenze della prima metà del ‘900 ridotto a non farsi capire neanche dalle
persone a lui più vicine.
Poi, i nomi della grande borghesia
milanese, non facilmente distinguibile dalla aristocrazia: ne ricordo
soprattutto le belle case e i bellissimi quadri.
La duchessa Gallarati Scotti. La sua camera da letto nel mio ricordo è
enorme, con un letto enorme, nel quale
la minuta duchessa mi riceveva, parlando nella sua splendida ‘lingua’ milanese.
E aveva un fondo oro senese alle spalle.
Casa Belgioioso: il principe mi
intratteneva con il suo abito di campagna, naturalmente elegantissimo, sull’andamento dei raccolti di quell’anno.
Grandi case e splendidi quadri: le scale di palazzo Bagatti Valsecchi
impreziosite dai generali di Enrico Baj, che ammiravo mentre il padrone di casa
mi parlava dei suoi dolori, tanto per cambiare alla schiena.
I Galtrucco di via Annunziata: ero entrato a casa loro perché la
deliziosa piccola Giovanna era stata colpita dalla polio. Ce la siamo cavata
bene, e Giovanna è rimasta una delle mie
migliori amiche. Approfittavo della intelligenza e della forza di carattere di
mamma Galtrucco, per avere conoscenza diretta di tutte le proposte spesso
strambe e ancor più spesso truffaldine che circolavano sul trattamento dei postumi
di polio: mamma Galtrucco andava a verificare dal vivo e mi riferiva. E io
avevo notizie dirette sull’inconsistenza della proposta, e potevo parlarne male
e dissuadere con le prove i genitori degli altri piccoli sempre in attesa del
miracolo. Mi ricordo quando ha portato Giovanna dal mago di Napoli, allora celeberrimo, portando con sé il lenzuolo
pulito sul quale Giovanna doveva essere trattata…
E giacchè siamo in via Annunziata, Alberto Pirelli, allora senza dubbio
il più importante industriale di Milano. Della sua abitazione mi sono rimasti
impressi il silenzio sepolcrale e i grandi vasi cinesi.
Il clan dei Falck: ricordi belli, come la disponibilità di mamma
Cecilia e le grazie di Orietta. Erano tempi strani: molte giovanette della
Milano bene avevano una scoliosi. Altri buffi. Alla morte del capofamiglia, la famiglia
aveva regalato al Centro pilota di don Gnocchi due splendide palestre.
All’ingresso c’era una testa in bronzo del benefattore. Erano i tempi della contestazione: i giovani poliomielitici in carrozzina
gareggiavano a chi faceva fare alla testa, che poggiava non fissata su un perno, il maggior numero di
giri colpendo il naso con una pallina di carta. E dopo l’omelia di monsignor
Pisoni, presidente della Fondazione, che aveva invitato a dimostrare
gratitudine ai benefattori, nell’intervento con
chitarra (allora era di moda) il più audace dei ragazzi usciva, a nome
anche degli altri, in un : ‘Signore, tieni
lontano da noi tutti i benefattori’. E non aveva torto: ribadiva che tutto
quanto serviva per una vera riabilitazione era un diritto del giovane disabile
e doveva essere a carico della comunità, e quindi dello Stato. Non ho mai
assistito a un ‘Ite missa est’ eseguito con maggiore celerità.
Per restare nello stesso ambiente, ricordo una cena del Rotary a Monza, dove tra l’altro si
era mangiato, come spesso accadeva, malissimo. Avevo dovuto chiedere, controvoglia, ai
facoltosi convitati un contributo per i bambini distrofici muscolari. Si
cominciava allora ad occuparsene: non godevano della legislazione favorevole che
interessava poliomielitici e spastici. Un autorevole membro affermava la scarsa
importanza sociale del problema, i distrofici non potevano essere più di
qualche centinaio. Lasciava qualche migliaio di vecchie lire, e si avviava all’uscita:
inciampava sulla soglia e si faceva male. E’ tornato indietro a versare un
altro po’ di denaro. L’ho sempre ricordato come un segno dell’esistenza di una
superiore giustizia.
Era anche il tempo della guerra del Vietnam. Terre des Hommes, l’agenzia
svizzera che si occupava dell’assistenza ai giovani vietnamiti del Sud travolti
dall’ingiusta guerra: inviava al nostro centro, scelto tra i centri di tutto il
mondo, i bambini affetti da lesioni motorie, in prevalenza poliomielitici. C’era
qualche cerebropatico e un paio di malformati
congeniti. E’ stata un’esperienza entusiasmante. Anche i bambini di due-tre
anni avevano un comportamento di una
serietà e di una educazione incredibili. Alla festa del Tet, quando l’ambasciatore
di Saigon a Roma veniva a festeggiare l’inizio dell’anno con i bambini, un
delizioso pranzo vietnamita (abbiamo saputo dopo, a Parigi, che la cucina
vietnamita è una delle migliori al mondo)
veniva consumato tutti insieme, in un’atmosfera quasi religiosa. E tutti i giornalini
comunisti cinesi e nordvietnamiti che arrivavano con gli studenti universitari
che accompagnavano i bambini sparivano misteriosamente dalle camerate: non ho
mai saputo dove finissero. Ho capito invece perchè i nordamericani non l’avrebbero
mai spuntata in Vietnam quando ho visto Van Guyen, un cosino di meno di dieci chili, nato prematuro
e poi poliomielitico, non in grado di camminare, aspettare Joseph, un bambinone camerunense con spalle da campione dei mediomassimi che
pesava quattro volte lui, sulla porta della camerata con un bicchiere pieno
d’acqua in mano. Sapeva che Joseph indossava due tutori i cui montanti in ferro
sporgevano dal tacco della scarpa consumato
dall’uso intenso. Mi ha detto: ‘sta a vedere, io butto l’acqua per terra,
Joseph scivola e cade e io gli salto sopra’. E così’ è stato.
Ed erano anche gli anni della orrenda vicenda del Talidomide, il
sedativo diffuso tra le donne in attesa di un figlio, che ha provocato un
numero impressionante di malformazioni
dei feti. Ne avevamo diversi al don Gnocchi: un’altra lezione sulle capacità di difesa dell’uomo anche in
situazioni disperate. Ricordo una bambina africana di uno o due anni: amelica
bilaterale completa, mancava anche delle scapole, le sue piccole spalle rotonde ricoperte di seta
nera. E Rosangela, una bambina deliziosa
di nove anni. Anche lei era amelica bilaterale,
mancava completamente dei due arti superiori, scapole comprese. Aveva imparato
a fare tutto con le dita dei piedi, portava i cibi alla bocca, cuciva, scriveva. L’avevamo dotata di
una protesi meccanica in uso negli anni del dopoguerra: la sistemazione di due
‘dita cinesi’, ditali di paglia intrecciata che si gonfiavano, e quindi si
accorciavano, quando veniva introdotto un gas; erano inserite su dei tiranti
che muovevano le dita meccaniche della
protesi, ottenendone la flessione e quindi la presa. Rosangela ne otteneva il riempimento e lo svuotamento schiacciando
una valvoletta che comandava con il mento. Una delle sensazioni più tristi della
mia vita, che pure non mi ha certamente risparmiato sensazioni dolorose, la ho avvertita quando ho visto Rosangela in piedi davanti alla lavagna: stava scrivendo con un gesso quando l’anidride
carbonica contenuta nella bomboletta si è esaurita. Le dita si sono di colpo aperte, il polso è ruotato
in supinazione. La mano artificiale è sembrata una mano vera, morta. Rosangela
è scoppiata a piangere.
Mi
rendo conto di non aver forse fatto una cosa corretta a inserire nei miei ricordi
i nomi dei loro protagonisti, in tempi di ossessione
per le intercettazioni telefoniche e di esasperazione della privacy ( a proposito,
privasi o praivasi?). Ma avevo molta voglia
di rispolverare i miei ricordi, oltre al
fatto che delle persone nominate potevo solo parlare bene e che la maggior parte
di loro non c’è più. E a me non rimane
che attendere serenamente che il mio testis
dexter diventi rigidus et convulsus,
sintomo che nostro padre Ippocrate (Aforismi,93) considerava letale.
Salve Silvano.
RispondiEliminaPer caso Lei è abbonato al Corriere della Sera?
Ieri ho trovato a Corsico una pila di quotidiani di molte altre persone, tra cui uno indirizzato ad una persona di Milano con il suo nome e cognome.
Se è Lei, magari Le può interessare questo mio ritrovamento: il suo giornale di ieri è stato semplicemente buttato in strada.
Gentile Prof Boccardi,
RispondiEliminaera un piacere ascoltarla e frequentare i suoi corsi d'aggiornamento, alla fine degli anni settanta,quando ero una giovane terapista e lei veniva qui a Parma,invitato dal dott. Adriano Ferrari.L'ho poi seguita in diversi corsi..poi l'ho un pò persa! Ora sono finita casualmente sul suo blog ed ho ritrovato lo stesso fascino e lo stesso piacere nel leggerla....Complimenti!!
Grazie, perchè oltre all'arricchimento professionale, lei resta un bell'incontro e un bel ricordo!!!
Ave