Nei primi anni 50 Clelia e io
siamo andati a Parigi con pochissimi
soldi in tasca. Una sera abbiamo cenato in un caffè del Boulevard des Italiens:
ostriche e champagne. Eravamo felici. Qualche giorno fa (Clelia non c’è più) Donatella
e Roberto sono andati a Parigi. Ho chiesto a Donatella di ripetere il rito. Lo
ha fatto, e l’esperimento è riuscito: al tavolo ci eravamo tutti e quattro.
mercoledì 9 novembre 2011
Avrei voluto
In questi giorni entro nella mia ottantanovesima primavera : si
dice così. E’ tempo di bilanci più o meno definitivi: ruit hora.
Lo scrittore spagnolo Javer Marias sostiene che il bilancio deve
comprendere ciò che abbiamo fatto e ciò che avremmo potuto fare e non abbiamo
fatto. Affido il lato positivo della mia vita (l’avere) alle molte persone che
mi hanno conosciuto:
- le
persone che direttamente o indirettamente mi si sono affidate (non mi piace
chiamarli pazienti), più di ventimila;
- gli
allievi, più di tremila;
- quelli
che hanno ascoltato o fatto finta di ascoltare le mie relazioni ai convegni,
parecchie migliaia;
- i
compagni di lavoro, tanti e tutti bravissimi;
- i
politici, forse troppi …;
- …e
che il buon Dio me la mandi buona.
Quanto al dare ( quello che non ho fatto, o ho fatto male)
preferisco, come è di moda, fare un elenco parziale delle cose che ho tentato
di fare per migliorare il mio score, con scarso successo.
Per cui, avrei tanto voluto sapere:
- giocare
bene a bridge;
- giocare
bene a scacchi;
- giocare
bene a biliardo;
- giocare
bene a calciobalilla;
- nuotare
bene;
- sciare
bene;
- giocare
bene a tennis;
- tirare
un sasso;
- lanciare
una palla;
- fischiare
intonato;
- suonare
il violoncello;
- suonare
passabilmente il pianoforte;
- reggere
una sinfonia di Shostakovic;
- capire
Coltrane;
- capire
Ricasso;
- capire
la relatività generale;
- parlare
arabo;
- parlare
bene inglese;
- risolvere
tomb raider;
- scrivere
come Tesio sulla riabilitazione ospedaliera;
- farmi
voler bene da tutti;
ci ho provato, ma non ce l’ho fatta. Mi dispiace molto.
giovedì 3 novembre 2011
Il coraggio di vivere
Qualche
giorno fa mi ha telefonato G.A. Lo conosco da oltre 50 anni e non lo vedo né lo
sento da circa 15. E’portatore di una
cerebropatia neonatale, che determina un grave interessamento della
motilità del capo, del tronco e degli arti, con un quadro che si potrebbe
definire spasticoatetosico, con note di emiballismo sinistro: non cammina, può
usare gli arti superiori con grande difficoltà. Quando parla è difficilmente comprensibile, gli spasmi si
accentuano e compaiono torsioni del capo, del tronco e degli arti superiori e
in particolare spasmi asimmetrici alle mani
e alle dita, tanto più gravi quanto maggiore è la partecipazione emotiva
a quanto dice – o vorrebbe dire. Per cui fa uso di frasi brevi, che ripete più
volte, in genere quattro: l’ultima versione
di solito è comprensibile. In compenso ha dei meravigliosi occhi
celesti, che raccontano quello che non riesce
a dire con le parole.
L’ho
conosciuto
cinquanta anni fa, negli anni immediatamente successivi al ’68.
Abbiamo fatto un po’ di strada insieme, poi G. è tornato al sud, a
Melfi, si è
sposato e ha svolto un’intensa attività di insegnamento. Mi sono sempre
chiesto come facesse a spiegare i complessi misteri della
matematica, in cui si è
laureato, ad allievi degli istituti tecnici, delle scuole per geometri.
dei
licei scientifici nei quali ha insegnato. Lo hanno aiutato
l’intelligenza, una
grande pazienza, una volontà di ferro, e soprattutto la capacità di
coinvolgimento. Ha avuto e ha molti amici, tra i quali io: me lo ha
confermato
in questo incontro, ero con lui nelle comuni battaglie, soprattutto
nella lotta
alle barriere architettoniche. In quegli anni non si poteva entrare in
carozzina nel Duomo di Milano, o superare senza gradini l’ingresso dai
quattro
lati in Galleria: per abbatterli, ci volevano i permessi del Comune di
Milano,
della Sovrintendenza ai monumenti, della Fabbrica del Duomo, e non
ricordo più
di quanti altri enti statali, regionali e comunali Tutti insieme,
guidati da
Piergiorgio Mazzola, ce l’abbiamo
fatta e oggi un paraplegico, ma anche un anziano e una mamma con il
bambino in
carrozzina possono andare senza barriere dall’interno del Duomo a piazza
della
Scala. Mi sono reso conto ancora una
volta dell’importanza delle barriere quando cinquanta anni dopo per
raggiungermi al mio quarto piano, per la presenza di alcuni gradini in
fondo
alla scala e perché le porte dell’ascensore (installato a metà del
secolo
scorso ) sono troppo strette per la sua carrozzina, è stato necessario
portarlo in braccio dal portone di ingresso
alla mia porta, e viceversa, da un gentile accompagnatore melfitano.
G.
è stato anche membro eletto nel consiglio direttivo nazionale dell’’importante
AIAS, l’associazione italiana assistenza agli spastici. Abbiamo rievocato quegli anni, per me ricchissimi, e ricordato
i molti amici che non ci sono più. Di molti mi ha portato lui la brutta
notizia, a ulteriore conferma della mia
teoria della doppia centrifugazione del disabile.
Abbiamo
parlato a lungo, se si può dire così: io parlando come mi consente la mia
vecchia paralisi del facciale
postchirurgica. lui più che altro
aggrovigliandosi e sgrovigliandosi, a seconda dell’enfasi. E’ stato comunque molto piacevole. Ho
scoperto che nonostante le diverse esperienze, le nostre idee sul mondo di oggi coincidono. E mi ha fatto un
immenso piacere quando mi ha assicurato, con dizione stranamente chiara, come
io, quaranta anni fa, gli abbia trasmesso più di tutti gli altri il ‘coraggio
di vivere’.
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